“Ma chiamali al telefono e diglielo”.
“Si, ma non è la stessa cosa”.
“E vabbè, però ti sentono, ti parlano ed è già qualcosa, meglio di niente”.
“Li chiamo ogni giorno, li sento che stanno soffrendo perché non possono stare con me fino alla fine”.
Entra il medico, la visita e squilla il telefono, è uno dei figli.
La paziente gli dice “c’è il medico, te lo passo”. Il medico descrive al figlio la situazione. È davvero critica.
Alla signora viene detto che dovrà essere intubata presto e che non ha molto da vivere. Il figlio chiede di poterla vedere per un ultimo, breve saluto.
Non è possibile. il Covid non decide su chi posarsi, si insinua su chiunque.
Il medico esce dalla stanza e la signora piange disperata.
Mentre è ancora al telefono con il figlio, il figlio piange con lei.
Lei ha sempre su di te quello sguardo implorante, come volesse chiederti di fare qualcosa e chiedi di passarle il telefono.
La signora ha un telefono vecchio, non è anziana, ma nemmeno tecnologica, non puoi avvicinare il telefono all’orecchio.
Quindi non sai cosa ti risponde il figlio, ma quello sguardo ti ha trapanato e non sei soltanto un operatore, sei mamma, sei figlia.
Dici al figlio: “Radunatevi tutti e quattro, ma proteggetevi con le mascherine. Fatelo prima che potete e poi chiamate in video chiamata questo numero”.
E gli dai il tuo e vi farò vedere mamma. È poca cosa, ma almeno non sarà una cosa interrotta di netto, e la potrete vedere.
Gli dici che sarai li per altre dieci ore e di richiamare più volte se non rispondo subito.
Non passa neanche un’ora la collega dice che dalla borsa sta squillando il tuo telefono.
Tu sei sempre vestita e sempre in quella stanza, non sei mai uscita e le chiedi di prendere il cellulare, metterlo in un sacchettino, disinfettarlo e passartelo.
Apri la video-chiamata e tutti e quattro i figli lì. La paziente non se lo aspettava ed è felice come una Pasqua e tu con lei.
Si parlano un bel po’, si raccontano, si dicono ti amo e lei desatura spesso perché si sta affaticando, ma sai il destino nefasto, non te la senti di chiedere di chiudere.
Già una volta sono stati obbligati a tagliare, ora vuoi che la decisione sia la loro.
La chiamata dura circa mezz’ora ed è come se un cerchio si fosse chiuso, quello che doveva essere è stato… lei aveva resistito solo per loro, per vederli, per salutarli.
Hai il cuore in mille pezzi. Pensi a te e ai tuoi figli e comprendi tutto..ogni sua preoccupazione.
Ti prende la mano, ti dice grazie, veglierò su di te, per quello che hai fatto. E fai fatica a non piangere.
La paziente si spegne. Decidi di uscire e lasciare ai colleghi il resto.
E vedi che, come le procedure prevedono, la cospargono di disinfettante, la avvolgono in un lenzuolo e la portano in camera mortuaria.
Sola..sola..i suoi effetti personali messi in triplice sacco nero andranno inceneriti.
È domenica mattina. L’agenzia di pompe funebri è venuta a prendere la salma.
Uno solo dei figli presente, a debita distanza. Non l’ha più vista da quella video chiamata.
Dà indicazioni all’incaricato e vanno via… la sua macchina svolta a destra, la salma va a sinistra..sola.
Non ce la fai, quello è troppo. E se fino ad ora non avevi pianto, ora non ce la fai.
A casa apri Facebook. Lamentele ovunque. Vi hanno negato la libertà, il bimbo non può andare più al parco, il cane passeggia troppo in là da casa e non si trova più lievito.
Quanta ignoranza, quanti pochi problemi ha la gente, ma su una cosa ancora siamo fortunati:
a noi ci saranno state anche negate delle cose, dovremmo anche fare sacrifici, ma almeno noi abbiamo ancora la dignità.
Un diritto che il Covid-19 ti toglie, senza poterti lamentare.
Un diario dalla prima linea, quella umana, del cuore.