“Ringraziamo ogni giorno la dottoressa di Codogno che, contravvenendo al protocollo, il 20 febbraio ha eseguito quel tampone rintracciando il primo paziente positivo in Lombardia.
Ha spiegato Fontana – il suo coraggio ci ha concesso di capire che dovevamo attivarci per affrontare un’emergenza da molti ampiamente sottostimata”.
Parole che rispondono indirettamente ai dati forniti dall’Agenzia per la tutela della salute di Bergamo.
E dall’Azienda socio sanitaria territoriale di Bergamo Est al consigliere regionale lombardo Niccolò Carretta.
Secondo cui già prima dei due casi “bergamaschi” ufficiali di Coronavirus, scoperti ad Alzano il 23 febbraio, nell’ospedale c’erano stati 110 casi di polmoniti sospette.
Ai 18 ricoveri di novembre ne sono seguiti 40 a dicembre e 52 a gennaio.
Tutti con codice di diagnosi 486, ossia “polmonite, agente non specificato” sulle quali però non sarebbero stati fatti approfondimenti.