Pamela Ferracci, 46 anni, decapitata dal figlio, il 22 marzo a Roma. Si stava separando e da qualche mese il marito non viveva più in casa.
Il figlio Valerio Maggi, 19 anni, da qualche tempo non stava bene, forse soffriva di depressione ed era stato anche visitato da uno specialista.
Durante una lite si è scagliato contro la madre e l’ha colpita al petto, al collo, ha ferito anche la sorella che aveva cercato di difendere la donna.
La ragazza è scappata e ha chiesto aiuto. Quando sono arrivati i carabinieri, Valerio ha aperto la porta senza dire nulla.
Irma Bruschetini, uccisa dal marito con un colpo di fucile, il 30 marzo a Firenze.
Aveva 97 anni. Il marito, Silverio Chiarini, ne aveva 87 ed era un ex cuoco. Dopo aver sparato alla moglie, Silverio ha rivolto il il fucile contro di sé e si è suicidato.
Sul divano ha lasciato un biglietto: «Seppelliteci vicini».
Lorena Quaranta, 27 anni, studentessa di medicina strangolata dal compagno il 31 marzo a Furci Siculo, provincia di Messina.
Lorena era originaria di Favara (Agrigento), Antonio De Pace, 28 anni, era di Vibo Valentia. Dopo l’omicidio lui ha tentato di suicidarsi, tagliandosi le vene, ma prima ha chiamato il 112: «Venite, ho ucciso la mia fidanzata».
Antonio ha ferito Lorena con un coltello all’addome prima di strangolarla. «Abbiamo litigato e in uno scatto d’ira l’ho uccisa. L’ho accoltellata all’addome e poi è morta.
Con una lampada l’ho colpita alla faccia. La lampada era sul comodino. Le mani le ho messe al collo. L’ho affogata. Non ho altro da dire…».
In ottobre Lorena avrebbe discusso la tesi di laurea; il killer, infermiere, si era iscritto alla facoltà di Odontoiatria, incoraggiato proprio dalla sua compagna.
Lui si è poi giustificato: l’ho fatto perché mi ha contagiato. Non era vero. Lorena su facebook raccontava l’emergenza sanitaria in ospedale e incoraggiava i colleghi. «Amate la vita», aveva scritto in un post sul coronavirus.
Gina Lorenza Rota, 52 anni, uccisa dal compagno con un colpo di pistola alla tempia, il 2 aprile a Rho, in provincia di Milano.
Terens Cacici, 38 anni, conviveva da alcuni mesi con la donna. Dopo aver sparato a lei si è suicidato.
Gina, madre di due figlie avute da precedenti relazioni, lavorava in un negozio di tende di Passirana. Cacici era disoccupato, aveva piccoli precedenti penali per spaccio. A trovare i due corpi, la madre di lui.
Viviana Caglioni, 34 anni. Il compagno l’ha uccisa di botte il 6 aprile a Bergamo. Viviana è morta dopo una settimana di coma.
Michele Locatelli, 42 anni, pregiudicato, l’ha colpita con pugni e calci all’addome. Vivevano insieme da sei mesi.
Lui era geloso di Viviana, durante una lite, nella notte tra il 30 e il 31 marzo, l’ha sbattuta a terra e poi ha cominciato a colpirla con pugni e calci.
I soccorsi sono stati chiamati dalla madre di lei un’ora dopo. Viviana è arrivata al pronto soccorso in coma e in ipotermia, per aver passato ore sul pavimento.
Alessandra Cità, 47 anni, uccisa dal compagno con un colpo di fucile, a Truccazzano, in provincia di Milano.
Dopo 9 anni, Alessandra, tramviere Atm, voleva lasciare Antonio Vena, guardia venatoria di 47 anni.
Lui le ha puntato alla testa il fucile a pompa calibro 12 e ha sparato.«L’ho uccisa io», ha detto ai carabinieri. Erano originiari dello stesso paese in Sicilia, si erano ritrovati a Milano.
Vena lavorava a Bressanone, in provincia di Bolzano, ma raggiungeva Alessandra a casa tutti i venerdì per passare insieme il week end. Sebbene negli ultimi tempi tra i due ci fossero tensioni e litigi, lei aveva accettato di ospitare in casa il compagno per via dell’isolamento imposto dal coronavirus.