La prigione, poi la paura di morire, infine la lettura del Corano e la folgorazione religiosa.
“Dopo aver letto il Corano non ci trovai contraddizioni e fin da subito sentii che era un libro che guidava al bene.
Il Corano non è la parola di Al Shabaab!”. Aver abbracciato l’Islam, rivela Silvia Romano/Aisha, avrebbe comportato per lei il passaggio attraverso offese e dileggiamenti, che si diceva certa di subire.
“Avevo sviluppato la consapevolezza attraverso lo studio della vita del Profeta Muhammad, la vita dei suoi Compagni e me n’ero già fatta un’idea.
I musulmani sin dall’inizio dell’Islam sono stati perseguitati”, perchè “l’Islam è la religione che va contro un sistema basato sulle ingiustizie, sul potere del dio denaro, la corruzione e la falsità, e questo spesso è scomodo”.
L’attenzione si sposta poi sul concetto di libertà e sul velo nello specifico, due elementi assolutamente affini nella vita della 25enne, come da lei stesso riferito nell’intervista.
“Per molti la libertà per la donna è sinonimo di mostrare le forme che ha; nemmeno di vestirsi come vuole, ma come qualcuno desidera.
C’è qualcosa di molto sbagliato se l’unico ambito di libertà della donna sta nello scoprire il proprio corpo.
Per me il mio velo è un simbolo di libertà, perché sento dentro che Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima.
Per me la libertà è non venire mercificata, non venire considerata un oggetto sessuale”.
Un passaggio singolare del racconto di Silvia Romano è proprio quello relativo alla scelta del nome dopo la conversione.
“Ho sognato di trovarmi in Italia, passavo ai tornelli della metropolitana e sulla mia tessera dell’Atm c’era scritto Aisha e poi è un nome che significa ‘viva’”.