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Sapete dove finiscono le mascherine usate?

E che «per ulteriore precauzione» le mascherine usate da soggetti positivi a tampone o in isolamento andrebbero messe in un sacchetto che va chiuso prima di essere buttato in un altro sacchetto, per evitare che quelle mascherine entrino in contatto con altri rifiuti.

Esistono poi regole specifiche per lo smaltimento delle mascherine usate negli ospedali, che esistevano da prima della pandemia.

– Leggi anche: Come usare le mascherine, spiegato bene

Le mascherine arrivano negli inceneritori o nelle discariche

Una volta gettate nell’indifferenziata e ritirate da chi di dovere, le mascherine arrivano agli inceneritori e ai termovalorizzatori oppure alle discariche, insieme a tutti gli altri rifiuti che non possono essere riciclati.

Nel primo caso, le mascherine si uniscono alle circa 5 milioni di tonnellate di rifiuti italiani che ogni anno finiscono negli inceneritori.

Nel secondo caso – per esempio quello delle regioni senza inceneritori, che in Italia sono 40 e quasi tutti al Nord – le mascherine vanno nelle discariche, così come ogni anno vanno circa 6 milioni di tonnellate di altri rifiuti.

Al loro arrivo nelle discariche le mascherine – insieme con gli altri rifiuti – sono processate, sterilizzate e stoccate.

Come ha spiegato l’ISPRA, tutto questo viene fatto «secondo le consuete modalità di trattamento, applicando le necessarie precauzioni finalizzate ad evitare la manipolazione diretta dei rifiuti da parte degli operatori».

Anche nel caso degli inceneritori le mascherine vengono trattate come gli altri rifiuti.

Come ha spiegato AGI, «i rifiuti che arrivano a bordo dei camion vengono inizialmente sottoposti a un controllo radiogeno».

E «nel caso in cui il valore di radioattività sia superiore a quello stabilito per legge si attende che l’elemento decada fino a scendere sotto la soglia stabilita».

I rifiuti sono poi messi «in una fossa profonda decine di metri» e, una volta pronti, sono bruciati a temperature «sufficienti ad azzerare la carica virale degli oggetti».

Dal punto di vista delle procedure, dunque, le mascherine non creano grossi problemi: e nemmeno dal punto di vista della quantità di materiale da trattare o bruciare.

Tra l’altro, come ha spiegato Valeria Frittelloni, responsabile ISPRA del Centro nazionale dei rifiuti e dell’economia circolare, viste le evoluzioni nell’uso delle mascherine da maggio a oggi, «siamo più vicini al margine basso della forbice» ipotizzata a maggio (quindi più vicini a 160mila tonnellate annue, che non a 440mila).

E già quelle stime dimostravano che anche «nella peggiore condizione possibile il sistema distributivo avrebbe retto».

A group of doctors talking about corona virus on conference.

Cosa si può fare

Il progressivo ricorso alle mascherine lavabili ha contribuito a migliorare le cose, diminuendo il numero di quelle monouso in circolazione.

Ma è bene ricordare che quelle di stoffa devono essere lavate di frequente e che è sempre importante verificare la loro efficacia nel ridurre il rischio di esposizione al coronavirus.

Sono poi allo studio nuovi tipi di mascherine, probabilmente meno problematiche per l’ambiente.

In questi giorni, per esempio, si è parlato di quella in canapa, quindi compostabile, prodotta dall’azienda francese Geochanvr.

Frittelloni ha parlato di «tavoli aperti» e «progetti allo studio del ministero dell’Ambiente» per «sistemi di raccolta sperimentale» delle mascherine.

Resterebbe però il problema dovuto al loro riciclaggio: per questioni sanitarie ma anche perché servirebbero appositi impianti.

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