“Grazie al nostro lavoro a Vo, se ci saranno nuovi focolai abbiamo tracciato un modello per affrontarli”, spiega Crisanti.
“Ma Vo ci ha mostrato altre cose… ci sono persone che stando in contatto con positivi non si sono ammalate, persone che sono rimaste malate poco e altre a lungo”, continua il virologo.
Di qui il nuovo studio che prevede, su base volontaria, anche il tracciamento dei genomi dei cittadini, in modo da “verificare i fattori di suscettibilità o di resistenza al virus”.
E poi, la conoscenza approfondita degli abitanti di Vo e del loro rapporto col virus consentirà di effettuare verifiche precise sul funzionamento dei test anticorpali.
Perché sapendo già il risultato atteso è possibile verificare l’efficacia del test, mentre provarlo su popolazione sconosciuta vorrebbe dire “sparare nel buio”.
Infine, dal momento che “il virus molto spesso introduce piccole variazioni quando contagia.
Che poi si trasmettono anche ai contagi successivi, è possibile ricostruire la ramificazione per verificare la catena di contagio”, continua Crisanti.
Il costo dello studio è di circa due milioni di euro, per la maggior parte già finanziati da “istituzioni nazionali e internazionali e anche privati”.
STUDIO DI VO DARÀ INDICAZIONI SU VACCINO
Lo studio sulla popolazione di Vo Euganeo darà anche indicazioni in merito alla effettiva possibilità di creare un vaccino.
“Permetterà ad esempio di stabilire se c’è una correlazione tra anticorpi e guarigione.
Perché- dice lo stesso Crisanti- un grande mistero sono queste persone che stanno male per cinque sei settimane e rimangono positive nonostante la ipotetica presenza di anticorpi.
Li producono gli anticorpi queste persone?
Questi anticorpi sono immunizzanti?
Sono tutte domande a cui noi possiamo rispondere perché sappiamo quanto è durata l’infezione.
Certo, se si vede una persona che dopo sei, otto settimane ha tanti anticorpi ma è ancora positiva mi comincio a porre qualche problema sulla fattibilità di un vaccino”.
“VACCINO ANTITUBERCOLARE È SOLO IPOTESI”
L’associazione tra vaccino anti-tubercolosi e protezione dal coronavirus “è un’ipotesi al momento.
E non credo che un’ipotesi giustifichi la somministrazione di un vaccino che non è un vaccino come tutti quanti gli altri.
Ma è un vaccino che comporta determinate conseguenze e che purtroppo non è standardizzato”, afferma Crisanti, direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell’Università azienda ospedaliera di Padova.
“Il vaccino che viene dato in Italia non è lo stesso che viene dato in Cina, non è lo stesso che viene dato in Russia, e così via.
Quindi se questa osservazione è stata fatta in India, noi usiamo un vaccino antitubercolare che è diverso, quindi non è detto che se noi ci vacciniamo succede la stessa cosa”, conclude Crisanti.