C’è chi studia, chi sta ai fornelli, chi risponde al centralino del call center, chi rigenera macchine per caffè:
dopo aver diviso più volte l’Italia tra innocentisti e colpevolisti, quei detenuti che per settimane o mesi, fino alla condanna definitiva.
Hanno “resistito” sulle prime pagine dei quotidiani vivono ora la reclusione impegnandosi in attività lavorative che consentono loro di mantenere un ponte con la società.
Sono retribuiti con la mercede (così si chiama lo stipendio dei reclusi), da poche centinaia di euro e in qualche caso fino a mille euro:
denaro che alcuni riservano per sé, altri destinano alle loro famiglie.
Alberto Stasi, condannato a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi (Garlasco, 13 agosto 2007), è impegnato nella casa di reclusione di Bollate (Milano), modello avanzato di struttura penitenziaria, come centralinista:
opera al call center di una nota compagnia telefonica, che ha stipulato una convenzione con la “Bee4 altre menti”.
Impresa sociale fondata nel 2013, che offre opportunità di riscatto a persone che hanno incontrato il carcere.
Allo stesso call center aspira Salvatore Parolisi, che ha scontato quasi metà della pena a 20 anni di reclusione inflittagli per l’omicidio della moglie Melania Rea (Civitella del Tronto, 18 aprile 2011).
L’ex caporalmaggiore sta frequentando, sempre a Bollate, uno stage di formazione e presto siederà accanto agli altri centralinisti.
A Bollate è detenuto pure Massimo Bossetti, “fine pena mai” per l’omicidio di Yara Gambirasio (Brembate di Sopra, 26 novembre 2010).
L’ex muratore di Mapello lavora per conto di un’azienda che, insieme a Bee4, ha creato il progetto Second Chance (seconda possibilità):
rimettere a nuovo macchine per caffè espresso ormai rovinate, in fase di demolizione, che vengono rigenerate dai detenuti, i quali così, a loro volta, hanno una “seconda chance” di vita.
Anche i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all’ergastolo per la strage di Erba (11 dicembre 2006) sono detenuti lavoratori:
il primo è ai fornelli nel centro clinico del carcere di Milano-Opera, la seconda è inserviente nella casa di reclusione di Bollate.
Ma è impegnata anche nella creazione di borse e accessori di cuoio per una cooperativa che sostiene progetti in favore dei bambini in Africa.