Dovrei rispondere che circola? Però, badi bene, nessuno va a prendere le frasi che ho rilasciato il 22 gennaio, quando ho detto testualmente:
“Le autorità europee hanno affermato che il rischio che il virus arrivi in Europa, e in particolare in Italia, è minimo.
Io non sono per niente d’accordo con loro, ma spero vivamente di sbagliarmi”. Che dire? In Italia ti perdonano tutto, ma non la popolarità».
La nostalgia degli studenti è l’unico motivo per cui lei lascia la tv?
«Lo faccio anche perché ho capito molte cose in questi mesi.
Un’aula televisiva come quella che mi ha offerto un grande professionista come Fazio è stata una palestra importante e — sono onesto — molto gratificante.
Ma il linguaggio della tv non è quello della scienza. I suoi tempi non sono quelli della scienza».
Che cosa accade?
«Si viene travisati, esposti al rischio di dire cose mai dette. Mi hanno attribuito di tutto.
Una cosa però me la faccia dire: oggi la politica ci chiede certezze ma quando, appena qualche mese fa, dicevamo che i vaccini sono indispensabili, una certa politica ci ha sbeffeggiato e ha strizzato l’occhio ai complottisti».
Se lo aspettava un attacco così da parte dell’«Espresso», che ha fatto i conti delle sue consulenze alle grandi aziende nella fase di ripartenza?
«Onestamente no. Sulle consulenze dico una cosa semplice: chi dovrebbe aiutare la ripartenza di un Paese se non un esperto di queste questioni?
Se la Ferrari mi chiede un aiuto, dovrei dire di no? Io ritengo che sia un dovere dare una mano.
E un professionista va pagato, perché altrimenti si tratta di sfruttamento.
Mi hanno accusato di speculare sulla pandemia persino quando è uscito il mio ultimo libro, Virus, anche se tutti sapevano che i proventi sarebbero andati alla ricerca».