Il nostro paese ha una media di tre lavoratori al giorno che non fa ritorno a casa, e questi morti non devono essere ignorati o diventare una semplice statistica. “Morire di lavoro” è un appello che richiama l’attenzione delle istituzioni e della politica su questo “crimine di pace” che continua a suonare il nostro paese.
Salvatore, morto di lavoro.
Salvatore Cucè proveniva dalla Calabria ed era un trasfertista che si trovava a lavorare nella costruzione della linea ferroviaria del Terzo Valico, tra Piemonte e Liguria. La sua morte, causata dall’esplosione dovuta a una fuga di gas nella galleria in cui lavorava insieme a un altro operaio ferito, è solo una delle molte morti sul lavoro che colpiscono spesso i migranti. Questi crimini di pace sono intollerabili.
Salvatore era un appassionato di calcio e una figura importante nella squadra locale di Roccabernarda, la città in cui è nato e cresciuto. La sua morte ha commosso molti e ha scatenato una richiesta di maggiore sicurezza e rispetto per i lavoratori del sud e per le loro famiglie. Durante il suo funerale, l’intero paese si è riunito per onorarlo e sostenere la sua famiglia.
A mille chilometri di distanza, a Voltaggio, le campane della chiesa suonavano a lutto per la morte di Salvatore. Anche se la distanza geografica tra le due città non può essere colmata, la solidarietà e la compassione dei loro abitanti li uniscono in un sentimento comune di lutto e di desiderio per un futuro più sicuro per i lavoratori italiani.