Le condizioni della giovane però erano buone, i parenti andavano a farle visita regolarmente e lei era sempre di splendido umore, combattiva, motivata a riprendere un’esistenza normale.
«Dopo il 10 marzo andavo da lei con modalità diverse dettate dalle normative contro il contagio, ma non c’erano disposizioni o prescrizioni particolari.
Un paio di giorni dopo Gaia mi scrisse di avere la febbre alta.
Non detti peso alla sintomatologia in un primo momento, ma la situazione continuava a peggiorare.
Ho cercato in tutti i modi di contattare i medici, non avevano mai tempo.
Il 20 mi ha telefonato una dottoressa, era molto scocciata dalla mia insistenza, mi ha detto che non sapeva perché le condizioni di Gaia stessero peggiorando.
Che le lastre ai polmoni erano come sempre e che mi avrebbe fatto sapere», ha verbalizzato Silvana ai carabinieri di Sesto Calende.
Poi un messaggio di Gaia:
«Ci sono movimenti strani, ho sentito qualcuno che parlava della misurazione della febbre. Mi hanno trasferita in un’altra camera, non c’era l’ossigeno… domani voglio camminare, voglio dimostrare la mia volontà, voglio farcela».
Il 17 marzo, in uno degli ultimi scambi di Whatsapp, un selfie con la maschera dell’ossigeno e poche parole:
«Ghiaccio in testa, febbre a 38… ho messo il cateterino, vanno di flebo».
Poi il silenzio definitivo e l’esito del tampone.