La malinconia di fondo di Edoardo Vianello si fa più esplicita negli anni successivi, incarnandosi nel fascino malizioso di “Semo gente de borgata”, duetto eseguito al fianco di Wilma Goich.
Scritta da Franco Califano e Marco Piacente, la canzone è una celebrazione dell’orgoglio di quartiere che farebbe riflettere anche il critico marxista György Lukács. Infatti i protagonisti della canzone, due giovani innamorati di umili origini, sembrano abbracciare il loro modesto rango sociale celebrando l’arte dell’appagamento: “Core mio, core mio, la speranza nun costa niente / Quanta gente c’ha tanti sordi e l ‘amore no / E stamo mejo noi che nun magnamo mai / Core mio, core mio, la speranza nun costa niente / Se potrebbe sta’ pure mejo ma che voi fa’ / Per ora ce stai tu er resto ariverà.”
La malinconia regna in quella che è forse una delle composizioni più squisite di Edoardo Vianello, la poco celebrata “La notte si è fermata”. Realizzata nel 1993, questa creazione lirica è nata dalla collaborazione di Vianello con suo nipote letterario, Andrea. In questa canzone, Vianello dipinge la tela di una vita, offrendo un film in miniatura simile all’opera di Ettore Scola.
Con pochi tratti abili, la canzone racconta il viaggio di un uomo comune dall’infanzia alla maturità, sullo sfondo della nostra storia nazionale. La meraviglia monocromatica dell’infanzia, la capacità dell’Italia di immaginare un futuro più luminoso, la leggerezza dei vent’anni con quell’inspiegabile irrequietezza che scivola tra le dita, un bambino che cresce e forse ci somiglia, gli anni ’70 con sorrisi che ora albergano paura,
La canzone raggiunge un climax vertiginoso che lascia senza fiato: la melodia rallenta il suo trotto, l’atmosfera si assottiglia, perché all’improvviso Edoardo Vianello si rende conto che, guardando in basso, tutti quegli anni non sono più presenti.