Questa forma di sollievo, infatti, è stata prorogata per 2019 e 2020 dal decreto fiscale dell’anno scorso, ma solo per quanto riguarda cartelle esattoriali, rottamazione-ter e saldo e stralcio.
Non vale per le pendenze fiscali in essere e, soprattutto, presuppone una certificazione del credito nei confronti della Pa da parte ella Ragioneria dello Stato che deve essere successivamente validata dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Il meccanismo non è né automatico né semplice.
Secondo gli ultimi dati Eurostat, i debiti commerciali di sola parte corrente delle Pa italiane sono aumentati dai 44 miliardi del 2016 ai 47,4 miliardi dell’anno scorso. I ritardi, poi, sono biblici tenuto conto che la legge obbliga al saldo in 30 giorni (60 giorni per la sanità).
La piattaforma dei crediti commerciali della Ragioneria generale evidenzia i record negativi: 73 giorni per le Regioni (Basilicata), 320 per i Comuni (Napoli) e 167 per le aziende sanitarie (Asl Napoli).
Per quanto riguarda i ministeri, ricorda la Cgia, i maggiori ritardatari sono le Infrastrutture (ritardo medio di circa 20 giorni), i Beni culturali (34 giorni) e l’Interno (64 giorni).
Con lo split payment, infine, c’è una doppia penalizzazione per le imprese. La norma obbliga le amministrazioni centrali dello Stato a trattenere l’Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all’erario.
Il meccanismo, efficace nel contrasto dell’evasione, ha però provocato molti problemi finanziari agli imprenditori onesti, cioè «la quasi totalità delle imprese che lavora per la Pa», rimarca la Cgia, perché il corrispettivo Iva da versare successivamente consentiva di fronteggiare nel breve periodo le necessità di cassa.
Ecco perché la compensazione di crediti e debiti avrebbe una valenza salvifica ma questa richiesta resta sempre inascoltata da uno Stato sprecone che vessa i soliti noti.